LA SCUOLA DEL FUTURO E' GIA' QUI: intervista alla Prof.ssa Dianora BARDI

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La scuola del Futuro è già qui.

I miei allievi studiano volentieri e non si annoiano. Vi sembra poco?

Al liceo Lussana di Bergamo la prof Dianora Bardi ha inventato un nuovo modo di insegnare. Senza banchi e con i tablet. Che mette insieme l’analisi logica e YouTube. «Perché i ragazzi imparino a dimenticare le nozioni. E a usare davvero la testa»

Ragazzi, togliete i banchi dal centro dell’aula, arriva la prof! Sedetevi pure dove volete, in cerchio o per terra, accendete i tablet e attivate la chat. Tutti pronti: inizia la lezione di latino. Oggi si studiano i miti antichi. Trentadue alunni di 14 anni del liceo scientifico Lussana di Bergamo aspettano la professoressa Dianora Bardi. Lei, un’insegnante di lettere che dice ancora “istoria”, sta rivoluzionando la scuola con un metodo (il metodo Bardi-Impara Digitale, appunto) che ribalta il concetto di didattica. È il 2010 quando, alle Olimpiadi internazionali di multimedialità di Melfi (Pz), di cui è presidente di giuria, la prof Bardi partecipa a un dibattito sugli ebook. Folgorazione. «Mi sono detta: proviamo. Diamoli ai ragazzi e vediamo cosa ne viene fuori» racconta lei, marchigiana di 60 anni con 2 figli poco più che 20enni. Grazie a 10.000 euro dell’Ufficio scolastico regionale arrivano in aula i tablet. È la prima volta in Italia.

«Quando ci siamo trovati in mano gli iPad non sapevamo da che parte prenderli. Ci chiedevamo: ma dov’è il mouse?». Come si fa a insegnare senza banchi e con i tablet accesi? «È la mia “classe scomposta”. Funziona così: io assegno un tema di studio e i ragazzi hanno un’ora di tempo per elaborarlo. Accedono a Internet, guardano i video su YouTube, sfogliano i libri a disposizione. Raccolgono informazioni, le analizzano, le riscrivono creando un loro ebook multimediale. Senza i banchi sono liberi di muoversi, di spostarsi dal pc al proiettore, di parlare con gli altri. Alla fine, in cerchio, discutono per un’altra ora del lavoro fatto».

Ma non si distraggono«Distrarsi? Dovreste vederla, una lezione. I ragazzi sono concentrati e attivi, perché possono scegliere il modo con cui lavorare, cioè personalizzare l’apprendimento. Ho chiesto loro: cosa usate a casa per studiare? Il computer? Ok, eccolo. I libri di carta? Qui c’è la libreria. Le chat con i compagni? Sedetevi alla postazione per la web conference. Abbiamo uno spazio per lo studio individuale e la possibilità di fare gruppo con chi si vuole. I ragazzi non sono mai stati così produttivi».

E i soldi? In Italia ci sono tanti istituti che hanno problemi di fondi.

 «Per iniziare bastano una rete wi-fi e i tablet per i docenti. I miei ragazzi si portano i loro da casa. Va bene anche uno smartphone. E non è del tutto vero che i soldi non ci sono: in Lombardia sono arrivati 39 milioni di euro in 2 anni per la tecnologia e altre Regioni si stanno muovendo».

È questa la scuola digitale di cui tanto si parla?

 «Per me non esiste la scuola digitale. Esiste la scuola, punto. Che usa il digitale per sviluppare una didattica intelligente. I ragazzi devono sapere fare di conto e imparare l’analisi logica. Si tende a costruire aule da 20-30.000 euro, che certo non tutti si possono permettere, senza talvolta ripensare il metodo di insegnamento. Ecco, la vera rivoluzione non sono la tecnologia o gli arredi: è la didattica».

Perché lei vuole cambiare il modo di insegnare?

 «La scuola non deve produrre solo nozioni, bensì competenze, in sintonia con quello che chiede l’Europa. Prima io parlavo, il ragazzo leggeva e ripeteva in modo passivo. Se lo faceva bene, gli davo un bel 7. Però mi chiedo: è utile allo studente? Sviluppa capacità critiche? Quando andrà a un colloquio non gli chiederanno se sa tutto di un argomento. Ma se è capace di lavorare in team, se è creativo, autonomo, in grado di risolvere problemi. È questo che va cambiato: non esiste più il professore dietro la cattedra».

In concreto, qual è il primo passo?

 «Bisogna trasformare il ragazzo in protagonista. È lui che deve discutere, elaborare, analizzare, lavorare su percorsi interdisciplinari. I docenti, però, devono programmare insieme, questo è fondamentale. Parliamo di Mediterraneo? Bene, lo trattiamo in storia, geografia, latino, scienze, mettiamo dentro anche un brano di epica e pure i migranti di Lampedusa. Le informazioni selezionate finiscono poi in cartelle condivise online accessibili a tutti. Pronte per diventare libri multimediali».

I professori sono disponibili a “scendere dalla cattedra” e a rivedere il loro metodo?

 «È questo il punto. Le scuole possono avere una rete wi-fi eccezionale, ma se il docente non cambia metodo, anche la tecnologia è un danno. Avete idea di cosa succede se un insegnante fa lezione dalla cattedra con davanti 30 ragazzi con gli smartphone o i tablet in mano? Il caos. Il professore è spaventato, fa spegnere tutto ed è uno spreco. Per questo la scuola oltre a investire in tecnologie deve, prima ancora, investire nella formazione dei docenti».

Se c’è scetticismo da parte dei professori, figuriamoci da parte dei genitori…

 «È normale che le famiglie siano spaesate: se prima trovavano il figlio al pc, gli dicevano di spegnerlo e di andare a studiare. Ora il ragazzo risponde che sta studiando. I genitori si chiedono: sta lavorando davvero o sta giocando? È per questo che va spiegato anche a loro cosa stiamo facendo, in modo che possano seguire i figli. Per quel che mi riguarda, sono sempre a disposizione e ricevo su Skype! Certo, sono forti cambiamenti, possono spaventare. Ma gli alunni vengono a scuola volentieri, imparano e non si annoiano. Vi sembra poco?».

 http://www.imparadigitale.it/bio/dianora-bardi/

 

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